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Iniziare un blog con un articolo che non avremmo voluto scrivere e che cerca di sintetizzare la situazione attuale in Birmania, paese dove saremmo dovuti andare a operare alla fine del 2021 e che molto probabilmente verrà invece depennato dall’elenco delle nostre missioni.

Impadronendosi del potere assoluto, il leader del golpe in Birmania, il generale Min Aung Hlaing, ha protetto gli interessi finanziari suoi e della sua famiglia, oltre al dominio incontrastato dell’esercito sull’economia.
Per buona parte della sua carriera militare, Min Aung Hlaing è stato un ufficiale discreto e schivo, stabilmente promosso a posizioni più elevate. Ha assunto il potere assoluto all’alba dell’1 febbraio, cinque mesi prima del suo pensionamento obbligatorio all’età di 65 anni, previsto per il 3 luglio.
Da quello che dicono varie fonti, tra gli altri obiettivi, il capo delle forze armate spera di proteggere se stesso, la sua famiglia e i militari da possibili indagini sui loro estesi e remunerativi accordi economici e holding finanziarie.

Secondo alcuni resoconti, la Mec e la Mehl hanno investito in attività commerciali nei porti, nei depositi di container, nelle miniere di giada e rubino, nell’immobiliare, nell’edilizia e in altri lucrativi settori.

Una lunga lista
Il figlio di Min Aung Hlaing, Aung Pyae Sone, gestisce un’“attività di forniture mediche, la A&M Mahar, che vende autorizzazioni della Food and drug administration, l’ente che supervisiona la sicurezza e la qualità di alimenti e medicinali nel paese, e negozia le importazioni, oltre a occuparsi del commercio di tecnologie farmaceutiche e mediche”, prosegue la nota.
“Aung Pyae Sone possiede anche l’Azura beach resort, che si presenta come il ‘principale villaggio vacanze di Chaung Tha’”, una località balneare della regione di Ayeyarwady, molto frequentata dalle élite di Yangoon. Qualche anno fa Sky one construction ha ottenuto il permesso di “costruire un villaggio vacanze su 22,22 acri (circa 9 ettari) di terreno ceduti in locazione dal governo.

La lista delle proprietà della famiglia è lunga ed estesa. Un rapporto dell’Onu del 2019 affermava che la Mec e la Mehl “contribuiscono a sostenere le capacità finanziarie del Tatmadaw”, l’esercito birmano. Questi conglomerati militari presentano “un alto rischio di contribuire, o di essere legati, a violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale”, sosteneva il rapporto.

Il responsabile del colpo di stato gode di ampio sostegno da parte degli altri ufficiali, compresi quelli che hanno beneficiato delle molte attività commerciali dell’esercito.
Di recente avrebbe anche soddisfatto le truppe regolari con l’acquisto di costosi armamenti ed equipaggiamenti da Cina, Russia, Israele e altri paesi. Tradizionalmente questi accordi hanno permesso ai vertici dell’esercito di ottenere guadagni personali gonfiando i prezzi.
L’ong Transparency international ha costantemente inserito la Birmania tra i paesi più corrotti al mondo, secondo il suo Indice di corruzione percepita.

Ma il rigido controllo esercitato da Min Aung Hlaing, dalla sua famiglia e dagli altri militari rende le loro attività finanziarie particolarmente problematiche da misurare, in mancanza di trasparenza o di resoconti sui loro guadagni e trasferimenti di proprietà.
Se Min Aung Hlaing fosse andato in pensione, sarebbe potuto diventare oggetto d’indagini finanziarie da parte del nuovo governo guidato dal partito Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi, che nelle elezioni dello scorso novembre ha ottenuto una schiacciante vittoria sul partito controllato dall’esercito.
“Quando Suu Kyi ha vinto le elezioni con tanto margine, si è presentato il rischio che una vera democratizzazione – anche se di natura illiberale – minasse la posizione dell’esercito per molto tempo”, ha scritto Avinash Paliwal, che insegna alla School of Oriental and African studies della London university.
Non è chiaro in che modo Min Aung Hlaing e l’esercito percepissero le crescenti relazioni commerciali di Suu Kyi e dell’Nld con la Cina, che possiede ampi interessi nello sviluppo infrastrutturale della Birmania, nell’ambito della sua Belt and road initiative, la nuova via della seta. Non si sa quanti di questi enormi contratti, che riguardano strade, ferrovie e porti, fossero guidati e controllati dall’Nld e se l’esercito avesse o meno una compartecipazione nei relativi e remunerativi contratti.

La pressione internazionale su Min Aung Hlaing è cresciuta dai tempi della sua brutale repressione militare sulla minoranza rohingya, e ci si aspettava che il generale sarebbe stato preso di mira con maggiore intensità nei prossimi mesi.
Suu Kyi, vincitrice del premio Nobel per la pace, è amatissima in Birmania nonostante negli ultimi anni sia caduta in disgrazia a causa della sua risposta alla crisi dei rohingya, e sia stata privata di molti dei premi internazionali ricevuti come icona della democrazia.
Gli investigatori dell’Onu hanno affermato che l’esercito andrebbe processato per “genocidio”, perché ha massacrato, violentato ed espulso i rohingya dalla Birmania occidentale tra 2016 e 2017. Più di 730mila rohingya sono fuggiti nel vicino Bangladesh, un paese a maggioranza musulmana, dove continuano a languire in miseri campi profughi.
Suu Kyi e l’esercito hanno respinto le accuse di genocidio e hanno dichiarato che le forze di sicurezza della Birmania hanno lanciato degli attacchi di autodifesa contro “terroristi”.
Nel 2019 gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni contro Min Aung Hlaing e tre altri dirigenti militari per il loro ruolo nelle violenze contro i rohingya.
Queste sanzioni sono rientrate nel Global Magnitsky human rights accountability act e hanno congelato tutti i beni di proprietà di Min Aung Hlaing e di altri tre ufficiali negli Stati Uniti. Inoltre hanno reso illegali gli affari degli statunitensi con loro.
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha immediatamente condannato il colpo di stato e ha minacciato altre sanzioni. Ma è improbabile che nuove misure punitive di Washington allontanino Min Aung Hlaing e l’esercito dal potere.
I militari hanno governato ininterrottamente per decenni, a partire dal colpo di stato del 1962. Il potere è stato rafforzato con un golpe nel 1988, prima che venisse garantita una transizione quasi democratica, che ha visto Suu Kyi e l’Nld vincere le elezioni del 2015 e del 2020.
L’esercito ha tuttavia mantenuto il suo ruolo politico, nominando rappresentanti militari con potere di veto in parlamento e controllando i potenti ministeri dell’interno, della difesa e delle frontiere.
I precedenti regimi militari hanno portato l’economia, un tempo una delle più prospere della regione, agli attuali e grotteschi livello di disuguaglianza, peggiorati da decenni di sanzioni internazionali. Resta da vedere come risponderanno gli investitori esteri, arrivati nel paese sotto il governo eletto di Suu Kyi.
Sulle aziende straniere attive nel paese sta già crescendo la pressione dei gruppi che si occupano di diritti umani. Il rapporto pubblicato il 3 febbraio dall’ong Human rights watch (Hrw), intitolato “La vostra azienda sta finanziando le violenze dell’esercito in Birmania?”, ha preso di mira in particolare la giapponese Kirin Holding, che si occupa di birre e altre bibite, per la sua partecipazione in due birrifici legati all’esercito. Due giorni dopo l’azienda ha annunciato che, in risposta al colpo di stato, avrebbe interrotto la sua collaborazione con il conglomerato Mehl nei due birrifici Myanmar e Mandalay.

In piazza è scesa la gente che da sempre ha appoggiato la linea di una nuova democrazia. Al loro fianco i medici e in prima fila quelli dell’ospedale di Yangoon, il centro dove avremmo dovuto presentare il nostro progetto ortopedico. I militari hanno cercato di arginare le proteste facendo circolare voci di pesanti ritorsioni che al momento non hanno messo in atto, anche perché bisogna considerare che una famiglia su due, in Birmania, ha un proprio componente nelle file dell’esercito e il rischio di sparare sui propri famigliari al momento sarebbe altissimo. Lo stesso esercito però ha informato attraverso comunicati trasmessi dall’unica emittente radiofonica a cui non è stata chiusa la possibilità di informare il popolo, che perdurando il clima di protesta si inizierà coll’arrestare i medici, mettendo quindi in ginocchio il sistema sanitario.

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