La magistratura belga ha deciso di accogliere la denuncia presentata da alcuni rifugiati birmani e di mettere sotto inchiesta l’azienda petrolifera francese Total per presunti reati di complicità in crimini contro l’umanità: lo hanno reso noto i legali dei querelanti.
La Total avrebbe utilizzato manodopera forzata fornita dalla giunta militare al potere in Birmania – accusata di crimini contro l’umanità – per la costruzione di un gasdotto. Dopo tre anni di battaglie legali, la denuncia era stata dichiarata ammissibile dalla Corte Costituzionale belga; lo scorso marzo tuttavia la Cassazione aveva stabilito che la giustizia belga non aveva giurisdizione dato che i querelanti erano di nazionalità estera. La Total è stata oggetto di numerose denunce da parte di lavoratori birmani anche in Francia, dove la magistratura ha infine optato per il non luogo a procedere. La denuncia è diretta contro l’azienda, il suo ex responsabile Thierry Desmarest e l’ex direttore delle operazioni della Total in Birmania, Hervé Madeo: a loro viene contestato il sostegno logistico e finanziario fornito negli anni Novanta alla giunta militare, che avrebbe a sua volta messo a disposizione manodopera forzata per la realizzazione dei progetti petroliferi.
Ora, letto tutto d’un fiato l’articolo sembrerebbe riassumere una situazione verificatasi poche settimane fa. Così non è. Il procedimento sopra riportato ha avuto il suo inizio nel 2002. Da allora la Total non ha mai smesso di fare affari con le forze militari, trattando con loro affinché i detenuti delle confortevoli e salubri carceri birmane, finissero nelle raffinerie francesi a lavorare in una sorta di inquadramento contrattuale molto vicino alla schiavitù. Singolare che la denuncia sia avvenuta per mezzo di quattro rifugiati che con molta fatica erano riusciti a farsi ascoltare dalle istituzioni del Belgio. Non da organizzazioni umanitarie presenti sul territorio e nemmeno dalle stesse dislocate in comodi uffici sparsi per tutto il globo, ma questa è un’altra storia e un’altro punto su cui torneremo vista la nostra avversione contro i giganti del finto buonismo.
Nel frattempo, la Total continua indisturbata ad estrarre dal sottosuolo birmano e a versare direttamente nelle casse dell’esercito le “accise” che permettono poi ai militari di approvvigionarsi di armi, utilizzate drammaticamente in queste settimane per sparare sulla folla inerte che si riunisce nelle strade e nelle piazze per manifestare contro questo golpe, appoggiato e sostenuto e dalle compagnie petrolifere e dai signori della guerra che in tempo di Covid hanno piazzato le loro bancarelle su tutta l’area del Myanmar.
Il 28 marzo, lo stesso giorno del “massacro di massa”, come lo ha definito l’Onu, la Birmania celebrava come ogni anno la giornata delle forze armate. Il capo della giunta militare, il generale Min Aung Hlaing, ha promesso nel suo discorso nuove elezioni e ha ringraziato i rappresentanti stranieri presenti, ovvero quelli di otto paesi tra cui la Russia (rappresentata dal suo viceministro della difesa), la Cina, l’India (che non vuole lasciare campo libero a Pechino) e altri paesi del sudest asiatico. I rappresentanti di otto paesi stranieri hanno assistito a una parata militare mentre l’esercito sparava sulla popolazione.
Due membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno partecipato alla sfilata di un esercito golpista e autore di un massacro. Davanti a questo fatto è difficile aspettarsi una risposta coerente dalla comunità internazionale. “La Russia è un vero amico”, ha esclamato il generale Min Aung Hlaing. In questo contesto bisogna essere davvero amici per inviare un ministro in Birmania.
Davanti alla prevedibile impasse, Tom Andrews, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Birmania, ha pubblicato nel fine settimana un comunicato contro i militari in cui raccomanda un intervento che possa privare la giunta delle risorse finanziarie del petrolio e del gas.
Andrews non è l’unico a proporre questo provvedimento, che avrebbe un impatto immediato di gran lunga superiore a quello delle sanzioni individuali imposte dagli Stati Uniti e dall’Europa.
Nei giorni scorsi la Total ha diramato un comunicato dove si diceva preoccupata per la situazione politica Birmana. Ad oggi non abbiamo capito come la società petrolifera intenda risolvere questa angosciante preoccupazione che attanaglia i propri dirigenti. Sarebbe auspicabile che venissero chiusi i pozzi e che sopratutto si sospendessero i bonifici che vengono fatti puntualmente al regime militare, ma sarebbe utopico. La Total continuerà a trarre profitto dall’estrazione di gas, i militari aumenteranno la forza lavoro incarcerando chiunque osi anche solo starnutire al di fuori degli orari concessi e i signori della guerra sposteranno le bancarelle del loro mercato di morte per innalzare un nuovo centro commerciale dove proporre in saldo armi di ultima generazione. Venite gente, venite, accorrete, lo spettacolo della guerra sta per iniziare…quelli che moriranno sono solo musi gialli. Chi se ne frega..
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